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Alzheimer, c’è differenza fra uomini e donne?

Alzheimer, c’è differenza fra uomini e donne?
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Gli ultimi studi in materia di Alzheimer paiono dimostrare diversità di risposta fra i sessi sull’uso dei farmaci.

Alzheimer, c’è differenza fra uomini e donne?
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I farmaci monoclonali per l’Alzheimer promettono di prolungare l’autonomia dei pazienti, ma una nuova ricerca mette in luce delle disparità di efficacia tra uomini e donne.

Un Nuovo Sguardo sull’Efficacia Nei Due Sessi

Un recente studio pubblicato su Alzheimer’s & Dementia ha sollevato interrogativi riguardo all’efficacia dei trattamenti monoclonali in base al genere. Il farmaco in questione, lecanemab, ha mostrato nei test clinici di fase 3 la capacità di rallentare il declino cognitivo del 27% rispetto al placebo, ma appare meno performante nelle donne. Sebbene il campione di studio non permettesse confronti diretti tra i sessi, emerge un significativo divario nei risultati.

Ricercatori canadesi e italiani hanno approfondito la questione conducendo diecimila simulazioni sui dati dello studio CLARITY AD. I risultati hanno indicato che le disparità di risposta al farmaco si verificano raramente per caso. Le differenze di invecchiamento cerebrale tra sessi spiegherebbero solo una minima parte di questa discrepanza del 31% nell’efficacia.

Incertezza sulle Implicazioni Cliniche

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Guidati dal neuroscienziato Daniel Andrews dell’Università McGill, gli autori dello studio sottolineano che, sebbene i risultati non siano definitivi, si profila la possibilità che lecanemab abbia una minore efficacia o addirittura nessuna sulle donne – un gruppo che rappresenta i due terzi dei pazienti con Alzheimer. Gli uomini hanno mostrato un rallentamento del declino cognitivo del 43%, contro un modesto 12% delle donne. Tuttavia, le conclusioni restano incerte a causa della natura esplorativa delle analisi post-hoc.

Alessandro Padovani, presidente della Società Italiana di Neurologia, invita alla cautela, rimarcando che i risultati devono essere considerati provvisori e che fattori come genetica, assistenza familiare e stimoli sociali potrebbero influenzare i risultati.

Un Passo Indietro per il Donanemab

Parallelamente, il monoclonale donanemab, sviluppato da Eli Lilly, non ha ottenuto il via libera dall’Agenzia europea del farmaco (EMA) per il trattamento dell’Alzheimer in fase precoce. Il comitato EMA ha considerato i benefici del farmaco non sufficienti a compensare i rischi di ARIA, un’anomalia di imaging associata a effetti collaterali come gonfiore ed emorragie cerebrali. Sebbene approvato negli Stati Uniti, donanemab è stato coinvolto in casi di ARIA non sintomatici e decessi durante la sperimentazione, evidenziando la necessità di monitoraggi continui.

Il futuro dei trattamenti monoclonali per l’Alzheimer rimane incerto, con le questioni di sicurezza ed efficacia a dover essere attentamente valutate. Resta da vedere come queste sfide saranno affrontate dalle autorità sanitarie e quanto influenzeranno il trattamento del più comune tipo di demenza.